giovedì 20 dicembre 2012

Il mio babbo

Il rumore del motorino del frigorifero provenire dal cucinino, il ticchettio della lancetta dei secondi dell'orologio appeso alla parete, il respiro affannoso e irregolare del babbo nel suo letto. Questi erano i suoni che si udivano nelle notti passate a vegliare su di lui.
Non starò a raccontare ciò che ha passato, il dolore che ha dovuto sopportare nella sua degenza; né parlerò del nostro operato nell'alleviargli ulteriori sofferenze. Voglio solo dire poche parole su chi era mio padre, ciò che è stato.
Voglio farlo perché si dice che certe cose nella rete rimangano per sempre, o così credo di aver capito. Non lo so se sia vero ma spero tanto di si. Voglio che qualcosa di lui viva ancora tanto a lungo, non solo nei miei ricordi, perché se lo merita.
La Storia è stata scritta da grandi uomini, grandi eroi che hanno compiuto imprese epiche. Il mio babbo era soltanto un contadino che ha dedicato tutta la sua vita al lavoro e alla famiglia. Era un uomo molto buono e mai l'ho visto mettersi contro qualcun altro se non per difendere i propri diritti. Era un tipo tranquillo, allegro e giusto. Una delle tante persone che per le proprie imprese non entrerà mai nei libri di Storia e non sarà mai ricordato come un eroe.
Il mio babbo era un grand'uomo, questo posso dirlo di lui perché è la verità.
Ha fatto dei propri figli, di me, delle persone oneste e sincere. Ci ha insegnato cos'è la lealtà, a distinguere cos'è giusto e sbagliato. Ci ha indicato la via e molto di più.
Ho seguito sempre i suoi consigli e spero di non averlo mai deluso per quei piccoli sbagli che ho fatto.
Se questo non è essere un grande uomo allora tutte quelle persone che hanno fatto la Storia non sono niente in confronto.
Babbo mio ti voglio bene, spero di rivederti un giorno per poterti riabbracciare.
Mi manchi. Non ti dimenticherò mai.

venerdì 2 novembre 2012

Tornare a vivere

Eccomi arrivato, giusto in orario di apertura. Il parcheggio dell'ospedale è pieno come un uovo, trovare un posto libero sarà un'impresa. Ma eccone uno là, che culo!
NOO, e dai! Un uomo nero col suo carico di roba, borsone sulla spalla, cinture e altre cose varie sulle braccia è spuntato fuori dal nulla indicandomi che c'è un posto proprio nel punto che ho adocchiato io. Un agguato, un fottutissimo agguato in piena regola. Non ho altra scelta, devo per forza parcheggiare lì.
Mi preparo psicologicamente mentre compio le ultime manovre. Prendo un po' di tempo a trafficare inutilmente e con aria coinvolta nel cassetto del cruscotto e pure sotto i piedi sperando che il mio assalitore vedendomi troppo indaffarato decida di lasciarmi perdere e andarsene.
See, come no?
Esco rassegnato, lui è partito in quarta a parlare già da un pezzo.
- Amigo, camicie da lavoro e jeans tutto a prezzo buono.
- Grazie, ma non mi serve nien... - Proprio nell'ultimo istante che riesca a chiudere lo sportello, allunga un braccio e lancia all'interno della macchina un rotolo di calzini bianchi. “Ma porc...!” - No, scusa, ma oggi non compro niente, non ci sono soldi.
È il sistema che usano oggi per costringerti a pagarli se non li tiri fuori. Li gettano sempre nei sedili posteriori, chissà, forse sperando che il malcapitato desista dallo sforzarsi di infilarsi dentro e spostare i sedili anteriori per recuperarli. Io non ci casco, riapro, tiro fuori i calzini e faccio per renderglieli mentre cerco di richiudere lo sportello prima che... troppo tardi, due accendini schizzano all'interno come il rotolo di poco fa. “L'immortac... ma vaff... e che cazz...!”
Intanto lui insiste:
- Compra mutande, occhiali da sole, tutto bello.
Lo so – dico io cercando di non perdere la pazienza. - È tutto bello ma non c'ho soldi, c'è troppa crisi e poco lavoro.
Dopo un lavoraccio dentro la macchina per recuperare gli accendini, questa volta mi frappongo fra lo sportello e il lanciatore di prima base per evitare altre intrusioni nella mia vettura. Chiudo finalmente a chiave e cerco di allontanarmi da lui piano piano spiegandogli della crisi e altre cosette varie, che mi dispiace di non potergli comprare niente e pregando che non se la prenda con la mia povera macchina. Di solito non lo fanno, ma ho sempre questo timore che ogni volta che mi allontano do sempre un'occhiatina all'indietro per esserne sicuro. Non capisco quello che dice lui per riuscire a convincermi ad acquistare almeno qualcosina, continua a parlare di Mamma Africa, della sua famiglia e chissà cos'altro ancora.
Dispiaciuto sul serio gli volto le spalle e mi incammino verso l'ospedale.
Prima che possa raggiungere l'entrata, un secondo uomo bello carico anch'egli di roba, mi adocchia da lontano e affretta il passo per sbarrarmi la strada.
- Amigo, guarda quanta roba bella, tutto a prezzo buono.
Ricominciamo con le solite frasi di circostanza, questo è più scuro di pelle e sembra più cocciuto dell'altro suo collega a mollare la sua preda.
Non è proprio un buon momento per me, il viaggio per arrivare lì è stato lungo e stancante e l'umore è più che pessimo. Mi batte sul tempo a parlare della crisi prima di me, penso che a questo punto non mi rimanga altro da fare che iniziare a parlare di Mamma Italia e della mia famiglia. Sopravvivo al secondo attacco, lui finalmente e per fortuna cede per primo, se ne va salutandomi cordialmente. – Va bene amigo, buona giornata. - Dalla sua espressione deduco che il suo è più un modo gentile per dirmi che sono una testa di cazzo.
Mi sento sempre un verme ogni volta che mi trovo in queste situazioni. Mi rendo benissimo conto che loro hanno tanto bisogno di guadagnare qualcosa che suppongo sia sempre poco nell'arco della giornata, ma non posso ogni volta che ne incontro uno comprare oggetti o vestiti di cui non ho affatto bisogno. Già non sto bene di mio per via di mio padre che giace su un letto d'ospedale, se poi mi ritrovo persino a combattere con la mia coscienza allora non va bene affatto. Pure loro dovrebbero capire però che non riusciranno mai a rabbonire le persone insistendo “violentemente” in quel modo, ci vuole pazienza e modi assai più garbati. Nel parcheggio di un ospedale poi non è certo il posto più adatto per vendere qualcosa, la gente ha ben altri pensieri in testa che meditare su quale cinturino o paio di occhiali da sole comprare.
Raggiungo le gradinate prima del grande atrio, una bambina mi si avvicina quasi singhiozzante con la mano tesa. È sporchissima, i suoi vestitini sono lerci e con qualche strappo qua e là, la madre è seduta per terra non molto distante, anch'essa con la mano tesa verso altre persone. Ci sono molte fontane pubbliche nei dintorni, ci si può benissimo lavare almeno la faccia, ma più si è sporchi meglio è per il compito che si deve svolgere.
Con loro è più facile, non c'è bisogno di instaurare una nuova discussione, non ci sono trattative da avviare. Con loro si deve adottare un approccio diverso, evito quindi di guardarli direttamente in faccia. Questo è il trucco, renderli invisibili e passare oltre, sottrarsi ai rimorsi della propria coscienza. Una monetina non è poi così tanto come perdita, ma vuoi rischiare di ritrovarti senza e privarti del piacere di gustarti una di quelle meravigliose merendine dei distributori automatici dell'ospedale? Come si potrebbe sopravvivere senza?
È tutto uno schifo! Io mi sento uno schifo! Tutta questa vita è uno schifo, da quando qualcuno ha deciso che il mondo deve girare solo grazie ai soldi!
Riesco ancora a sentirla implorante anche quando le grandi porte scorrevoli si richiudono alle mie spalle. Mi avvio verso gli ascensori a testa china vergognandomi e chiedendomi se abbia fatto bene o male il mio compito di essere umano. Probabilmente l'ho fatto male, non sono il tipo che imbrocca la cosa giusta al primo colpo.

C'è la solita ressa davanti ai tre ascensori, oggi mi sembra più animata del solito. Un donnone è incazzatissimo perché sembra che aspetti da un pezzo che qualche porta finalmente si apra. Non la biasimo poveraccia, conosco benissimo la situazione. Il primo ascensore si fa tutti i piani tranne il primo, non si sa il perché ma quello lo salta sempre. Il secondo è fuori servizio, mentre il terzo sta ai piani alti e sembra che non abbia nessuna intenzione di scendere giù. Di consuetudine quando arrivo io grazie alla mia solita fortuna entrambi stanno sempre tra l'undicesimo piano e il tredicesimo, gli ultimi praticamente. Io devo salire all'undicesimo., ma succede sempre che persino trovandomi là e dovendo scendere, stì fetenti non fanno altro che bazzicare per ore nei piani bassi.
Me la farei volentieri a piedi su per le scale, la salita non mi spaventa, ma vengo a sapere che dal secondo al quarto piano degli operai stanno dando la cera e non si può passare. Hanno azzeccato proprio il momento giusto delle visite per fare il proprio lavoro.
In nostro aiuto una infermiera ha messo a disposizione l'ascensore riservato solo al personale dell'ospedale, è piuttosto spazioso e ci stanno dieci persone e più rispetto alle otto di quelli pubblici. Otto persone secondo il foglietto attaccato alle pareti d'acciaio si intende, in realtà ce ne stanno appena tre, se strette forte forte le une alle altre. I pori della pelle sembrano crateri visti a quella distanza ravvicinata, i pidocchi potresti persino cavalcarli.
L'infermiera dopo aver riempito il suo “veicolo”, propone un passaggio ad altre due ragazze dichiarando che ci stanno benissimo, quelle due sceme respingono l'offerta persino alla sua insistenza dicendo che preferiscono aspettare quelli pubblici. Per noi altri vista la situazione è come rifiutare un passaggio per il paradiso, mi vien voglia di prendere quelle due capre per i capelli e sbatterle a calci nel culo dentro il montacarichi, dato che a quanto pare il dono prezioso non era stato offerto a nessun altro di noi. Pure il donnone si rifiuta categoricamente di salire su quello dell'infermiera, è diventata ormai una questione di principio per lei. Si sposta continuamente avanti e indietro pigiando i pulsanti anche se questi sono accesi già da un po'. C'è una marea di persone che assiste al suo calvario, in particolare ne arriva un altro proprio in questo momento e mi si ferma alle spalle addosso a me. Ordina alla moglie, almeno credo sia sua moglie, di pigiare il tasto di chiamata come se noi poveri ebeti non ci avessimo già pensato prima. S'è piazzato così vicino a me che sento il suo fiato sul collo, puzza di un intenso odore di dopobarba rancido che probabilmente è andato a male da secoli, il suo alito è così fetido da mozzarmi il respiro, dev'essersi bevuto da poco una spremuta di merda.
Finalmente squilla il campanello di apertura delle porte scorrevoli, dall'ascensore ne escono un sacco di persone che mi meraviglio di come siano riuscite ad entrarci tutte in quel modo. Uscendo tutti dicono: “arrivederci” di qua, “arrivederci” di là invece del solito “buona giornata”.. Mi son sempre chiesto trovandomi spesso a viaggiare là dentro con un mucchio di esseri con l'alitosi, perché mai dovrei rivedere le loro facce una volta fuori da quella scatola mobile, mica abbiamo condiviso esperienze intime tra noi, no? A parte qualche sniffata di forfora dalle loro spalle.
Ci facciamo tutti da parte per permettere alla mastodontica donna di entrare con le sue due amiche; quasi ci scappa un applauso di solidarietà verso di loro.
- Troppo comodo rubare il posto alle altre persone in questo modo – dice una voce dietro di me. Si, è proprio lui, bocca di rosa, sembra prendersela a male per il fatto di vedersi soffiare così l'ascensore. A parte il fatto che con tutta questa gente lui come minimo dovrebbe aspettare almeno tre o quattro giri prima di riuscire ad entrarci, se poi inizia pure ad attaccar briga allora se la sta proprio andando a cercare.
- No, guardi che noi stiamo aspettando da quasi un'ora, non può dire che stiamo rubando il suo posto – tuona lei di rimando.
- Lei stava facendo la fila per quell'altro, con che faccia ora si mette davanti al nostro?
Mi sposto da davanti, non vorrei che mi sputasse pure addosso mentre starnazza in quel modo. Il donnone non perde tempo a ribattere mentre nessuno di noi altri ha tutta l'aria di intervenire in suo aiuto, tipico di chi vuole farsi i cazzi propri, altro che solidarietà verso il prossimo. Meno male che almeno le porte sono bloccate dalla sua consistente massa corporea.
Alla fine decide che la cosa migliore da fare sia tagliar corto la conversazione con quell'impianto fognario aperto e proseguire per la sua strada lassù, verso i piani alti. Guardo con sofferenza le porte che si richiudono pregando che non tardino troppo a riaprirsi. Osservo quel cesso che cerca di ottenere i consensi degli altri per la ramanzina che pensa di aver fatto alla donna, ma nessuno sembra cagarlo troppo, nemmeno sua moglie. Solamente una vecchietta un po' snob gli dà vigliaccamente ragione. Io invece ho una voglia matta di prendere il moccio Vileda che sta dentro un secchio in un angolino della sala e ficcarglielo tutto dentro quel buco di culo che somiglia tanto ad una bocca. Da non credersi, l'ultimo arrivato che si mette a dettar legge, ma vaffanculo, fatti un altro frullato di merda e piantala di sparare cazzate!
L'infermiera ritorna col monta lettighe e ne prende altri dieci compreso, per fortuna, pure me. La merdaccia dovrà vedersela con gli altri due ascensori pubblici, spero che lo trovino mummificato ancora là ad aspettare tra un milione di anni come minimo.

Mio padre è a letto, da due giorni non riesce ad alzarsi. Ogni volta che lo rivedo sembra più vecchio e sempre più stanco. Gli si illuminano gli occhi non appena mi vede. Mi siedo accanto a lui e parliamo del più e del meno, mi racconta del nuovo arrivato nella sua camera e dei suoi problemi di salute. È già il dodicesimo che cambiano dal giorno che ho portato il babbo qua dentro, due settimane fa. Dice anche che è stanco, non lo biasimo, chi non lo sarebbe in questo posto? Non vedo l'ora che gli facciano l'ennesima visita che era prevista per un paio di giorni fa, di sabato e di domenica sembra che di medici non ce ne sia nemmeno l'ombra, così hanno rimandato l'esame per domani. Freme pure lui dalla voglia di farlo e di tornarsene a casa. Eh sì, il mio babbo è fatto così, pensa che un semplice esame sia la cura per il suo male, per lui non c'è nient'altro, non tiene conto di nessun esito bello o brutto che sia.
Sono triste e in pensiero per lui.
Sente dolore allo stomaco e tutto il ventre, ancora non sa quant'è grave. Si fida di tutto ciò che gli diciamo io e la mamma. Lo tranquillizzo pure adesso che mi chiede novità sulla sua salute, mi sono già preparato un'altra bugia abbastanza credibile da evitargli alcuna preoccupazione. Accetta contento la mia risposta e mi sorride soddisfatto. Io invece muoio dentro, è così facile prendersi gioco della sua ingenuità che per poco non mi scoppia il cuore. Non c'è niente di più doloroso che mentire e sorridergli allo stesso tempo sapendo che gli resta ancora poco da vivere. Non ha idea di come mi trattenga dal non esplodere, ma non posso permettermi di lasciarmi andare, non voglio che soffra pure per me.
Tossisce, ogni piccolo movimento che fa è doloroso. Ogni colpo di tosse uno strazio. Lo aiuto a mettersi di fianco per sputare sul fazzoletto. Non mangia da un pezzo ormai, la sua nutrizione consiste in un liquido bianco contenuto in una sacca appesa insieme alla flebo, la sua vita scorre in un tubicino dritta nella vena del suo braccio. Con movimenti lenti e meticolosi ripiega il fazzoletto come fosse un'azione importante, stando attento che i suoi spigoli combacino perfettamente gli uni con gli altri. Ha una pazienza di cui gli ho sempre invidiato, cosa che io non avrò mai. Ho il desiderio di baciarlo sulla fronte, ma è un gesto che non ho mai fatto anche se gli voglio un bene da morire. Evito di farlo pensando che forse lo troverebbe strano ed ho paura che me ne chieda il motivo, ed io non voglio preoccuparlo. Oppure semplicemente lo avrebbe gradito più di qualsiasi altra cosa al mondo, lo avrebbe visto come l'amore provato di un figlio verso il proprio padre. Sicuramente ne sarebbe stato felice. Probabilmente me ne pentirò per il resto dei miei giorni, sono fatto così, non sono il tipo che fa sempre la cosa giusta al momento giusto.
Lo aiuto a stendersi di nuovo e gli sistemo le lenzuola.
Dopo qualche minuto, la visita nelle camere di due o tre medici costringono i visitatori ad uscire fuori dalla stanza ad aspettare. Dico al babbo che torno fra poco ed esco pure io. Ben vengano queste visite, non le fanno molto spesso, mi danno un senso di appagamento, mi tranquillizza il fatto che qualcosa funzioni qua dentro.
Solo due giorni fa il babbo riusciva ancora a camminare aiutandosi con il bastone, non voleva che io l'aiutassi nemmeno un po', diceva che era capace di farcela benissimo da solo anche se con qualche difficoltà. Lo lasciavo fare ma stavo sempre attento che non scivolasse e si facesse male. Lottava per conservare con fermezza quell'ultima azione di autosufficienza che ancora gli era permessa.
Ho la gola secca, decido di andare a prendermi una bottiglietta d'acqua ai distributori in sala d'aspetto, ma so già cosa ci troverò ad aspettarmi.
Infatti, eccoli là, tutti ammucchiati addosso ai distributori, quasi non si riesce nemmeno a vederli. La sala è abbastanza capiente, ma sembra che il parcheggio degli zoticoni sia proprio lì. Mi appoggio al muro e aspetto che si apra almeno una piccola breccia in quella bolgia. Sembra di stare in un bar al sabato sera, con ubriaconi che urlano a manca e a destra. Qui è la medesima cosa, c'è un gran vociare che non si riesce ad afferrare una solo parola comprensibile nemmeno a concentrarsi fino a farsi fumare orecchie e cervello. Molti di loro non sono nemmeno di questo reparto, ormai conosco quasi tutti i visitatori che ne fanno parte, mi chiedo cosa ci facciano qua. Ci stanno pure due carabinieri in mezzo a loro, e come quasi tutti gli altri non hanno niente tra le mani, nemmeno la scusa di tenere una tazzina di caffè, nemmeno per finta. Una ragazza lotta disperatamente per farsi strada : “Scusi, con permesso, mi fa passare per favore?” Sembra una formichina in mezzo ad un branco di elefanti. Avrebbe ottenuto più attenzione se avesse detto loro: “Scusa, ti levi dalle balle?” Ne avrebbe avuto tutti i diritti in fondo di essere scortese.
Decido di tenermi la sete, non sto bene. Ho quasi le lacrime agli occhi al pensiero di mio padre che passa la maggior parte del tempo da solo chiuso fra queste quattro mura. Mi allontano da lì, non ho nessuna voglia di scusarmi con dei coglioni per un sorso d'acqua. Mi avvicino alla finestra, da quassù si può ammirare una parte della città. Guardo il panorama, oggi non so nemmeno se è bello o brutto, i miei occhi sono appannati e non riescono a vedere quasi nulla. Voglio andarmene da qui, voglio riportare a casa il mio babbo. Voglio portarlo via da questa gabbia di matti.
Col fazzoletto mi asciugo le lacrime senza farmi vedere da nessuno, non voglio che qualche rompiballe mi si avvicini a chiedermi se sto bene, che si facciano i cazzi loro.
Voglio starmene in pace per conto mio. Ho bisogno di farmi forza, di concentrarmi al massimo per non lasciarmi andare, non devo crollare, non proprio adesso.
Non devo pensare a niente, solamente ad essere di buon umore per lui.
Sorridere.
Incoraggiarlo.
Volergli bene.
Dargli forza.
Non serve altro se non tornare alla vita di sempre.
Alla nostra vita.
Voglio solo che il mio babbo torni a casa con me.   

domenica 7 ottobre 2012

Ai confini della realtà

Finalmente mi decido a comprare il rubinetto che perde del cortile. Ho sempre rimandato di giorno in giorno, ma ora non mi scappi. A forza di gocciolare qui rischio che mi arrivi una bolletta di quelle toste, meglio evitare.
Raggiungo con la mia vecchia FIAT 127 il paese vicino che sta ad un chilometro esatto di distanza.
Mi dirigo al solito negozio di ferramenta, è piuttosto grande e ben fornito. L'unica pecca sta nel fatto che non ti lasciano girare per gli scaffali a prendere di persona ciò che ti serve. Devi per forza chiedere al commesso che sta al bancone, cosa che trovo snervante da fare. Farei un sacco di acquisti se avessi mano libera, non solo io ma persino gli altri clienti.
Ci sono due persone nella fila avanti a me, un'altra si è aggiunta alle mie spalle. Il mio sguardo nell'attesa vaga fra gli articoli esposti e vedo che parecchia roba potrebbe essermi utile per la casa, ma ahimè, i soldi non sono sufficienti, meglio limitarsi a prendere il mio rubinetto.
E' il mio turno, il commesso è il solito sostituto del proprietario quando lui è assente. Mi avvicino al bancone per fare la mia ordinazione.
- Dimmi – chiede il commesso.
- Buongiorno, vorrei un rubinetto da mezzo pollice.
- Prego?
- Un rubinetto da mezzo pollice.
Lui mi guarda con aria un po' stranita. - Non ho capito scusa.
- Un rubinetto – faccio io alzando sufficientemente la voce pensando che forse è un po' duro d'orecchi.
- Un rubinetto? Cos'è questo rubinetto?
Un tantino sorpreso dalla sua domanda riparto alla carica. - Un rubinetto da mezzo pollice – dico gesticolando come uno scemo nel tentativo di mimare quella che dovrebbe essere la forma di un rubinetto.
- Ma cos'è? A cosa serve?
Comincio a sudare freddo, forse sono io che non riesco a fargli arrivare il messaggio. Dal cliente dietro di me non mi arriva nessun aiuto, sembra essere sorpreso pure lui solo che non so se per la mia”strana” richiesta o per la stupidaggine del commesso.
- E' un rubinetto – proseguo ripetendo sempre la stessa cosa come se facendolo potessi farmi comprendere meglio. - Si attacca al muro... cioè, veramente si attacca al tubo che sta nel muro, quello dove c'è l'acqua... si avvita e poi si apre e si chiude... con l'apposita manopola... e l'acqua esce... quand'è aperto... perlopiù... - Ormai sono nel pallone, non so nemmeno io quello che sto dicendo. Atri due clienti entrano giusto in tempo per assistere a questa farsa.
- Non riesco a capire, ma ce l'abbiamo noi quest'articolo?
E daje, insiste pure. Devo essere io per forza. Forse al posto di “rubinetto” ho detto qualcos'altro, una cosa tipo “friscuzzabrulla”, per questo non capisce. - Certo che l'avete, aivoglia rubinetti!
Si guarda intorno come cercando un'illuminazione. - Non so – fa un po' perplesso. - Eppure... ma sei sicuro?
Il panico si è ormai impadronito di me. Comincio a dubitare seriamente della mia sanità mentale. Mi sento come se fossi finito dentro un episodio di “Ai confini della realtà”, quello dove un uomo si sveglia in un mondo in cui le parole sono tutte invertite; dove dinosauro significa pranzo, mentre pranzo non è altri che un colore rosso chiaro e cane invece che sta ad indicare il giorno mercoledì. Roba da diventare matti insomma!
- Serve per far scorrere l'acqua, si apre e si chiude.
Si è formata una piccola folla alle mie spalle che bisbiglia qualcosa di certi rubinetti, qualcuno lo sento persino sghignazzare. Imbarazzo, sudore, panico ed ora pure l'incazzatura. La giornata non si presenta affatto bene.
- Aspetta che vado a controllare.
Si, vai a farti un giro che magari ti torna la ragione. Gli altri mi guardano curiosi, devo essere rosso come un cocomero in viso, infatti me lo sento un po' surriscaldato.
Ma che succede? Sta accadendo davvero tutto questo? E' tutto reale o sono finito in un incubo?
Dopo aver rovistato in parecchi scaffali quel coglione del commesso ritorna finalmente con quello che mi serve.
- E' questo quello che cerchi? - domanda sventolando l'oggetto ai quattro venti con l'aria vittoriosa per l'impresa compiuta, come se avesse trovato ciò che nessuno era mai riuscito a scovare prima d'ora in vita sua.
Evviva, che bravo, degno di un predatore dell'arca perduta, ma vaffanculo! - Si, è quello che cercavo – gli rispondo con la voglia di andarmene da lì il più presto possibile.
Pago ed esco col rubinetto avvolto a mo' di fagotto dalle mie mani come a nascondere quell'acquisto così strano e imbarazzante manco fosse un vibratore con stimolatore anale, ancora incredulo di ciò che mi è appena successo.
Sono un tipo con una pazienza quasi infinita, ma se quell'idiota avesse insistito ulteriormente lo avrei mandato come sa fare solo Aldo Baglio nei suoi sketch: VaffancuUUUUUulo!
A ripensarci non sono io ad aver fatto alcuna figura di merda, in realtà la colpa è stata tutta di quel rincoglionito del commesso, ma non so perché in quel negozio non ci torno più molto volentieri e spesso come prima.  

giovedì 27 settembre 2012

Della serie... "ma si rendono conto delle stronzate che dicono?"

Questo è un esempio di ciò che ci propina ogni giorno la nostra tv. Non è satira, non è un' esagerazione. É la pura e semplice realtà.
Si sconsiglia la lettura a chi è debole di stomaco.

Annuncio di cronaca; notiziario di un' emittente televisiva locale:

Tragico incidente avvenuto questo pomeriggio a Xxxx. Un bambino di dodici anni è annegato in un laghetto vicino al campetto di calcio in cui giocava da solo. Si suppone che il piccolo nel tentativo di recuperare il suo pallone finito in acqua, non sia riuscito a riguadagnare la riva dopo essersi imprudentemente inoltrato nelle gelide acque.
Un duro colpo per il piccolo centro abitato; i cittadini nel loro cordoglio, shoccati per l'avvenuta tragedia, manifestano tutta la loro solidarietà verso i familiari del bambino.

Stessa notizia trasmessa dalla rai/mediaset:
(Motivo musicale triste di sottofondo. La voce della giornalista è quasi struggente, al limite delle lacrime.)

Il pomeriggio di Xxxx inizia con un tristissimo e shoccante evento. In questa giornata fredda, sotto questa grigia coperta di nuvoloni che sembrano sul punto di lasciarsi andare in una pioggia scrosciante, vi è situato un campetto di calcio spoglio del suo manto erboso. È un terreno in cui l'erba a stento riesce a far capolino dal suolo perennemente calpestato da centinaia di piccole scarpette che si muovono velocemente avanti e indietro ogni giorno a rincorrere il pallone che sembra non volersi mai far raggiungere. Ed è proprio qui, in questo campetto che il piccolo Marco, perché è così che abbiamo deciso di chiamarlo per il rispetto verso la sua famiglia, perché non vogliamo che dicendo il suo vero nome in qualche modo possiamo turbarla, giocava a rincorrere il suo pallone tutto da solo mentre con la fantasia volava felicemente a sognare di impersonare il suo attaccante preferito della squadra del cuore di cui andava fiero.
Marco ha dodici anni e tutto un avvenire davanti a se. Probabilmente... anzi, ne siamo sicuri, sarebbe andato avanti per l'intero pomeriggio fino a tarda sera se il destino non si fosse messo a intralciare il corso degli eventi.
Un destino crudele; crudele come quelle gelide acque del laghetto adiacente al piccolo campo di calcio. Un laghetto sinistro, assassino. Sì, assassino, questa è la parola adatta a lui. Non ci sono altri termini per descrivere quest'enorme e profondo fosso ricolmo del suo liquido scuro come la notte. Il piccolo Marco lo conosceva bene quel lago, c'era vissuto da sempre accanto ad esso. Per lui era semplicemente un placido spettatore delle numerose partite che faceva insieme ai suoi amichetti ogni giorno. Ma le cose sono cambiate all'improvviso. Quel tranquillo spettatore si è voluto prepotentemente protagonista in questo pomeriggio truce. Ha voluto mostrare per intero tutta la sua crudeltà verso quello che sarebbe stato un futuro calciatore. Ma Marco non l'ha temuto, non si è lasciato sopraffare dall'inquietante avversario. Non ha esitato un attimo a lanciarsi nelle sue gelide acque per recuperare il pallone finito accidentalmente nella sua stretta mortale. Marco ha lottato per liberarsene, ma lui non ha mollato la presa. Ha gridato, ha gridato aiuto più forte che ha potuto nella speranza che qualcuno potesse sentirlo, ma lì con lui non c'era nessuno in quel momento. Dove sono i miei amici? si sarà chiesto. Ha lottato, si è battuto fino alla fine finché l'acqua non si è fatta strada nei suoi polmoni soffocando le sua ormai gracili grida.

Ha perso!

Sì; ha perso contro un avversario più forte di lui. Non aveva nessuna possibilità di vincere e si è lasciato andare in quel silenzioso fondale tenebroso. Il suo ultimo pensiero è stato per la sua squadra del cuore, per il suo attaccante preferito che in quel momento si allenava pure lui da qualche parte in un campo di calcio che certamente era migliore del povero quadrato di terra spoglia della sua erba, in cui lui giocava da una vita.
É stato un passante mentre tornava dal lavoro ad accorgersi di quel corpicino galleggiante, ormai privo di vita. Non ha perso tempo e si è tuffato per soccorrerlo ma, ahimè, tutto è stato vano. Quanto avremmo sperato che quella persona fosse passato di lì un attimo prima, e che il miracolo fosse accaduto, che ti avrebbe salvato, così l'indomani, lasciatoci dietro questa brutta avventura, avremmo tutti giocato insieme a te a rincorrere l'imprendibile pallone.
I cittadini sono shoccati e arrabbiati. Quel lago non doveva esserci lì. Doveva esserci almeno una recinzione a circondarlo per evitare tragedie simili. Ma gli errori degli altri si sa, si ripercuotono sempre su chi è incapace di farne fronte. Per il piccolo Marco è stato così, una vita spezzata, ci ha lasciati per lo sbaglio di qualcun altro, quel qualcuno che in questo momento si starà tormentando per non aver agito nel migliore dei modi, e starà facendo i conti con la propria coscienza.
Ma ormai ora è troppo tardi. Ciao Marco, ti ricorderemo sempre così (foto), col tuo sorriso e i tuoi sogni che volano alti lassù nel cielo.

(Il motivo musicale triste si affievolisce lentamente, fino a lasciar spazio alla successiva notizia.)

giovedì 20 settembre 2012

Dubbi

Figuriamoci; se non prendevo in pieno una pozzanghera mi sarei preoccupato.
'Fanculo, odio avere i piedi bagnati nelle scarpe. Non posso nemmeno fermarmi per togliere l'acqua da dentro, tocca correre col piede a mollo.
Tre minuti, sono in ritardo di tre minuti. Che giornata schifosa, sembra che oggi mi vada tutto male. Eppure era iniziata così bene. Speriamo che Giulia non se la prenda troppo se ritardo di qualche minuto.
Maledetta pioggia, sono tutto bagnato da capo a piedi. Lo sapevo che andava a finire così; esci che ci sono appena due goccioline e ti ritrovi ad affrontare il diluvio universale. Iella schifosa!
Ma che mi lamento a fare poi, tanto se prendevo l'ombrello con queste folate di vento sarebbe comunque stato difficile riuscire a tenerlo come si deve. Che stronzo pure io però a prestare la macchina a mio fratello proprio oggi.
Devo accelerare il passo se voglio trovarla ancora lì.
In un documentario dicevano che più si corre sotto la pioggia, più riesci ad inzupparti. Secondo me è una cagata pazzesca, con tutta quest'acqua che viene giù è già tanto se non affoghi mentre cammini. La strada sembra un fiume in piena. Beh, anche i marciapiedi non scherzano se per quello.
Un altro minuto andato, dai dai, accelera!
Ancora non riesco a crederci che abbia accettato il mio invito questa mattina. Non ci avrei sperato proprio. Che bello, non mi sembra ancora vero. Temevo che l'avrebbe presa sul ridere quando le ho chiesto se le andasse di rivederci stasera per prenderci qualcosa al “Bar del Giglio”. <<Molto volentieri>> mi ha risposto sorridendo. Dio quant'è carina quando sorride. Lo è anche se non sorride; è carina, bella, simpatica, affascinante, sexy... ma porc...! No, non ci credo, ho centrato un altro fosso con l'altro piede. Merda, che culo, solo io potevo fare stà cagata.
Corri corri, fregatene dei piedi e corri!
Mi sembra di avere dei macigni al posto dei piedi; pesano che sono una meraviglia. Ciff-ciòff ciff-ciòff, fate largo, arriva l'uomo di Atlantide, anzi, il mostro della palude.
Non ho capito cos'altro ha detto però, ero così sorpreso della sua risposta che non ho afferrato bene. Ammettiamolo, ho avuto un attimo di rincoglionimento. Che ci incontravamo alle sette in punto questo era chiaro, ma il resto? Chi diceva che avrebbe visto più tardi? O era prima? O il giorno dopo? Boh? Chi se lo ricorda?
Mamma mia quanta acqua sto imbarcando, arriverò da sembrare uno schifo. Che figura di merda farò; arriverò in ritardo e per giunta pure fradicio e infreddolito, al bar penseranno che son caduto nel fiume. Coraggio che ci siamo, ancora pochi isolati e vinciamo il primo premio. La coppa dei campioni... anzi, la Giulia dei Giuliani... see, il pirla dei pirloni se non ti muovi e la smetti di perderti con queste cazzate.
Accidenti, non avevo previsto che imbiancare la cucina mi avrebbe preso così troppo tempo, altrimenti sarei partito prima e passato la seconda mano domani. Ho appena avuto il tempo di farmi una doccia e schizzare via. Se sapevo che ci sarebbe stato quest'acquazzone non me la sarei nemmeno fatta la doccia.
Eccolo finalmente, il “Bar del Giglio”.
Non la vedo, che sia dentro? Che stupido, certo che è dentro, con questa pioggia vuoi che stia fuori? Guardiamo dalla vetrina. Uh, quanta gente! Dove sei? Ah, eccoti là... ma chi c'è seduto lì con te? Chi cavolo è quel coglione? Sembrano nel bel mezzo di una discussione. Forse è il cameriere suo conoscente che si è fermato a scambiare due parole nell'attesa. Certo, e nel mentre s'è portato un birroncino pure lui. No, forse è suo fratello, ma non mi ha detto che ci portava pure lui. Aspetta, cos'è che ha detto stamattina? Che doveva incontrarsi con un'altra persona? Era prima o dopo il nostro appuntamento?
Cazzo, sono sotto le cascate del Niagara, forse sarà meglio entrare. Ma poi cosa faccio? Mi siedo assieme a loro come se niente fosse? Lo saprà lui che lei mi aspetta? Guardali come se la ridono. Ma chi cazzo è?
Aspetta, ragioniamo. Ripensa a quello che vi siete detti stamattina. L'appuntamento era alle sette in punto, ora sono le sette e dodici minuti. Che cavolo, per dodici minuti di ritardo mi rimpiazzi già con un altro? Ma no dai, forse è la persona con cui doveva incontrarsi prima di me e tra un po' se ne andrà via. Però brutta carogna ti stai prendendo più tempo del dovuto, siamo sui tredici minuti di troppo. Va bene, te ne concedo un altro ancora ma poi fuori dai coglioni, ti conviene alzare il culo da quella sedia e andartene via lontano da lei.
Dio che freddo! Ma porca miseria, ma tutta io me la sto beccando questa pioggia? Qualcuno si starà divertendo un mondo là sopra a prendermi di mira. Non vedendo nessun altro senza ombrello allora puntano i loro getti d'acqua su di me. Com'era a scuola da piccoli, uno ti tirava addosso una gomma da cancellare e tutti gli altri eccitati da quell'attimo di visibilio ti lanciavano a loro volta tutto l'armamentario dello scolaro, libri, quaderni, penne, astucci e tutto quello che riuscivano a sollevare da terra, sedie, banchi, cattedra, lavagna... e dai, ma te ne vuoi andare?
Maledetto me che non ho ascoltato bene le sue parole.
Allora, ripartiamo bene dall'inizio. Io le ho chiesto di vederci al “Bar del Giglio” alle sette in punto e lei ha risposto <<molto volentieri>>. E poi? Poi? Poi poi poi? E poi un paio di cazzi stupido che non sei altro! Non ti ricordi niente di niente per quanto eri rincitrullito. Comunque l'appuntamento era per oggi no? Non per domani o un altro giorno. Non si è parlato di un domani, su questo ne sono sicuro. Oppure l'ha detto lei? No, ma che dico, non ho sentito la parola “domani” nel nostro discorso. Nel tuo magari, ma forse lei l'ha detto, che puoi saperne se in quel momento avevi il cervello in pappa?
Comunque che faccio? Entro? E con che faccia mi presento a loro? E se poi non era per oggi l'appuntamento sai che figura di merda. Però potrei entrare e far finta di essere passato di qui per caso per prendermi un caffè. <<Ciao Giulia, facevo due passi sotto la pioggia ed ho pensato di entrare un attimo a far prendere un po' d'aria alle branchie>>. Ma dai, che idiozia farei se entrassi per davvero. Pensa pensa, era per stasera no? Non sarà mica che il mio orologio segna l'ora sbagliata? Ma no, ma che vado a pensare? Però anche questa ipotesi non è da scartare, che cavolo, se avevamo deciso di vederci alle sette precise non vedo perché mai si sarebbe incontrata con un altro. Ho l'orologio che va avanti? Oppure va indietro? No, impossibile, sono sicuro che è giusto. Ma forse è un suo amico che ha incontrato per caso e si stanno salutando. No, quello ha fatto pure un'ordinazione, non sembra tanto un incontro veloce da baci e abbracci, ci vediamo e tanti saluti alla famiglia. No, non ci siamo. E se fossero venuti insieme? Forse vuole presentarmelo. Ma no, chi si porterebbe il terzo incomodo ad un appuntamento a due? E perché mai poi dovrebbe presentarmi questo tipo qui? Ma l'avrà capito poi che il nostro era un appuntamento? Forse non sono stato abbastanza chiaro. Che cazzo di situazione!
Che faccio che faccio?
Ridono di brutto. E sembrano abbastanza presi dalla conversazione. Lei non sembra tanto avere l'aria di aspettare qualcuno. Ma avrò capito male io allora?
Allora, resto ed entro o me ne torno a casa? Certo che entrare in queste condizioni non sarebbe neanche bello, allagherei tutto il locale come minimo.
Ho deciso, torno a casa.
Dai pioggia di merda, continua ad infierire pure tu, tanto arrivati a questo punto!
Magari se la rivedo domani e mi domandasse il motivo per cui non sono venuto potrei risponderle che... che... ero in fondo al fiume a rincorrere le trote. Già, che scusa posso inventarmi? Mica posso dirle che stavo fuori dal bar col naso spiaccicato alla vetrata a spiarla. No, devo pensare a qualcosa di convincente. Dai, torniamocene a casa.
Eppure... non so, cosa avrà detto stamattina?
Allora, ripensiamo bene a quello che ci siamo detti. Io le ho chiesto se potevamo rivederci stasera alle sette, e lei ha risposto...

Inizio

E dopo i casini che ho fatto prima di riuscire a capirci qualcosa per creare il mio blog, eccomi finalmente (spero) pronto a sciorinare i mie pensieri.
Ho visitato parecchi blog prima di decidermi a crearne uno mio. Un po' incuriosito di sapere come ci si senta a condividere il proprio sentire con persone del tutto estranee, ho preso coraggio e mi sono imbarcato in questa "avventura".
Spero che la barca regga alle intemperie, non sono un granché come nuotatore.