NOO, e dai! Un uomo nero col suo carico
di roba, borsone sulla spalla, cinture e altre cose varie sulle
braccia è spuntato fuori dal nulla indicandomi che c'è un posto
proprio nel punto che ho adocchiato io. Un agguato, un fottutissimo
agguato in piena regola. Non ho altra scelta, devo per forza
parcheggiare lì.
Mi preparo psicologicamente mentre
compio le ultime manovre. Prendo un po' di tempo a trafficare
inutilmente e con aria coinvolta nel cassetto del cruscotto e pure
sotto i piedi sperando che il mio assalitore vedendomi troppo
indaffarato decida di lasciarmi perdere e andarsene.
See, come no?
Esco rassegnato, lui è partito in
quarta a parlare già da un pezzo.
- Amigo, camicie da lavoro e jeans
tutto a prezzo buono.
- Grazie, ma non mi serve nien... -
Proprio nell'ultimo istante che riesca a chiudere lo sportello,
allunga un braccio e lancia all'interno della macchina un rotolo di
calzini bianchi. “Ma porc...!” - No, scusa, ma oggi non compro
niente, non ci sono soldi.
È il sistema che usano oggi per
costringerti a pagarli se non li tiri fuori. Li gettano sempre nei
sedili posteriori, chissà, forse sperando che il malcapitato desista
dallo sforzarsi di infilarsi dentro e spostare i sedili anteriori per
recuperarli. Io non ci casco, riapro, tiro fuori i calzini e faccio
per renderglieli mentre cerco di richiudere lo sportello prima che...
troppo tardi, due accendini schizzano all'interno come il rotolo di
poco fa. “L'immortac... ma vaff... e che cazz...!”
Intanto lui insiste:
- Compra mutande, occhiali da sole,
tutto bello.
Lo so – dico io cercando di non
perdere la pazienza. - È tutto bello ma non c'ho soldi, c'è troppa
crisi e poco lavoro.
Dopo un lavoraccio dentro la macchina
per recuperare gli accendini, questa volta mi frappongo fra lo
sportello e il lanciatore di prima base per evitare altre intrusioni
nella mia vettura. Chiudo finalmente a chiave e cerco di allontanarmi
da lui piano piano spiegandogli della crisi e altre cosette varie,
che mi dispiace di non potergli comprare niente e pregando che non se
la prenda con la mia povera macchina. Di solito non lo fanno, ma ho
sempre questo timore che ogni volta che mi allontano do sempre
un'occhiatina all'indietro per esserne sicuro. Non capisco quello che
dice lui per riuscire a convincermi ad acquistare almeno qualcosina,
continua a parlare di Mamma Africa, della sua famiglia e chissà
cos'altro ancora.
Dispiaciuto sul serio gli volto le
spalle e mi incammino verso l'ospedale.
Prima che possa raggiungere l'entrata,
un secondo uomo bello carico anch'egli di roba, mi adocchia da
lontano e affretta il passo per sbarrarmi la strada.
- Amigo, guarda quanta roba bella,
tutto a prezzo buono.
Ricominciamo con le solite frasi di
circostanza, questo è più scuro di pelle e sembra più cocciuto
dell'altro suo collega a mollare la sua preda.
Non è proprio un buon momento per me,
il viaggio per arrivare lì è stato lungo e stancante e l'umore è
più che pessimo. Mi batte sul tempo a parlare della crisi prima di
me, penso che a questo punto non mi rimanga altro da fare che
iniziare a parlare di Mamma Italia e della mia famiglia. Sopravvivo
al secondo attacco, lui finalmente e per fortuna cede per primo, se
ne va salutandomi cordialmente. – Va bene amigo, buona giornata. -
Dalla sua espressione deduco che il suo è più un modo gentile per
dirmi che sono una testa di cazzo.
Mi sento sempre un verme ogni volta che
mi trovo in queste situazioni. Mi rendo benissimo conto che loro
hanno tanto bisogno di guadagnare qualcosa che suppongo sia sempre
poco nell'arco della giornata, ma non posso ogni volta che ne
incontro uno comprare oggetti o vestiti di cui non ho affatto
bisogno. Già non sto bene di mio per via di mio padre che giace su
un letto d'ospedale, se poi mi ritrovo persino a combattere con la
mia coscienza allora non va bene affatto. Pure loro dovrebbero capire
però che non riusciranno mai a rabbonire le persone insistendo
“violentemente” in quel modo, ci vuole pazienza e modi assai più
garbati. Nel parcheggio di un ospedale poi non è certo il posto più
adatto per vendere qualcosa, la gente ha ben altri pensieri in testa
che meditare su quale cinturino o paio di occhiali da sole comprare.
Raggiungo le gradinate prima del grande
atrio, una bambina mi si avvicina quasi singhiozzante con la mano
tesa. È sporchissima, i suoi vestitini sono lerci e con qualche
strappo qua e là, la madre è seduta per terra non molto distante,
anch'essa con la mano tesa verso altre persone. Ci sono molte fontane
pubbliche nei dintorni, ci si può benissimo lavare almeno la faccia,
ma più si è sporchi meglio è per il compito che si deve svolgere.
Con loro è più facile, non c'è
bisogno di instaurare una nuova discussione, non ci sono trattative
da avviare. Con loro si deve adottare un approccio diverso, evito
quindi di guardarli direttamente in faccia. Questo è il trucco,
renderli invisibili e passare oltre, sottrarsi ai rimorsi della
propria coscienza. Una monetina non è poi così tanto come perdita,
ma vuoi rischiare di ritrovarti senza e privarti del piacere di
gustarti una di quelle meravigliose merendine dei distributori
automatici dell'ospedale? Come si potrebbe sopravvivere senza?
È tutto uno schifo! Io mi sento uno
schifo! Tutta questa vita è uno schifo, da quando qualcuno ha deciso
che il mondo deve girare solo grazie ai soldi!
Riesco ancora a sentirla implorante
anche quando le grandi porte scorrevoli si richiudono alle mie
spalle. Mi avvio verso gli ascensori a testa china vergognandomi e
chiedendomi se abbia fatto bene o male il mio compito di essere
umano. Probabilmente l'ho fatto male, non sono il tipo che imbrocca
la cosa giusta al primo colpo.
C'è la solita ressa davanti ai tre
ascensori, oggi mi sembra più animata del solito. Un donnone è
incazzatissimo perché sembra che aspetti da un pezzo che qualche
porta finalmente si apra. Non la biasimo poveraccia, conosco
benissimo la situazione. Il primo ascensore si fa tutti i piani
tranne il primo, non si sa il perché ma quello lo salta sempre. Il
secondo è fuori servizio, mentre il terzo sta ai piani alti e sembra
che non abbia nessuna intenzione di scendere giù. Di consuetudine
quando arrivo io grazie alla mia solita fortuna entrambi stanno
sempre tra l'undicesimo piano e il tredicesimo, gli ultimi
praticamente. Io devo salire all'undicesimo., ma succede sempre che
persino trovandomi là e dovendo scendere, stì fetenti non fanno
altro che bazzicare per ore nei piani bassi.
Me la farei volentieri a piedi su per
le scale, la salita non mi spaventa, ma vengo a sapere che dal
secondo al quarto piano degli operai stanno dando la cera e non si
può passare. Hanno azzeccato proprio il momento giusto delle visite
per fare il proprio lavoro.
In nostro aiuto una infermiera ha messo
a disposizione l'ascensore riservato solo al personale dell'ospedale,
è piuttosto spazioso e ci stanno dieci persone e più rispetto alle
otto di quelli pubblici. Otto persone secondo il foglietto attaccato
alle pareti d'acciaio si intende, in realtà ce ne stanno appena tre,
se strette forte forte le une alle altre. I pori della pelle sembrano
crateri visti a quella distanza ravvicinata, i pidocchi potresti
persino cavalcarli.
L'infermiera dopo aver riempito il suo
“veicolo”, propone un passaggio ad altre due ragazze dichiarando
che ci stanno benissimo, quelle due sceme respingono l'offerta
persino alla sua insistenza dicendo che preferiscono aspettare quelli
pubblici. Per noi altri vista la situazione è come rifiutare un
passaggio per il paradiso, mi vien voglia di prendere quelle due
capre per i capelli e sbatterle a calci nel culo dentro il
montacarichi, dato che a quanto pare il dono prezioso non era stato
offerto a nessun altro di noi. Pure il donnone si rifiuta
categoricamente di salire su quello dell'infermiera, è diventata
ormai una questione di principio per lei. Si sposta continuamente
avanti e indietro pigiando i pulsanti anche se questi sono accesi già
da un po'. C'è una marea di persone che assiste al suo calvario, in
particolare ne arriva un altro proprio in questo momento e mi si
ferma alle spalle addosso a me. Ordina alla moglie, almeno credo sia
sua moglie, di pigiare il tasto di chiamata come se noi poveri ebeti
non ci avessimo già pensato prima. S'è piazzato così vicino a me
che sento il suo fiato sul collo, puzza di un intenso odore di
dopobarba rancido che probabilmente è andato a male da secoli, il
suo alito è così fetido da mozzarmi il respiro, dev'essersi bevuto
da poco una spremuta di merda.
Finalmente squilla il campanello di
apertura delle porte scorrevoli, dall'ascensore ne escono un sacco di
persone che mi meraviglio di come siano riuscite ad entrarci tutte in
quel modo. Uscendo tutti dicono: “arrivederci” di qua,
“arrivederci” di là invece del solito “buona giornata”.. Mi
son sempre chiesto trovandomi spesso a viaggiare là dentro con un
mucchio di esseri con l'alitosi, perché mai dovrei rivedere le loro
facce una volta fuori da quella scatola mobile, mica abbiamo
condiviso esperienze intime tra noi, no? A parte qualche sniffata di
forfora dalle loro spalle.
Ci facciamo tutti da parte per
permettere alla mastodontica donna di entrare con le sue due amiche;
quasi ci scappa un applauso di solidarietà verso di loro.
- Troppo comodo rubare il posto alle
altre persone in questo modo – dice una voce dietro di me. Si, è
proprio lui, bocca di rosa, sembra prendersela a male per il fatto di
vedersi soffiare così l'ascensore. A parte il fatto che con tutta
questa gente lui come minimo dovrebbe aspettare almeno tre o quattro
giri prima di riuscire ad entrarci, se poi inizia pure ad attaccar
briga allora se la sta proprio andando a cercare.
- No, guardi che noi stiamo aspettando
da quasi un'ora, non può dire che stiamo rubando il suo posto –
tuona lei di rimando.
- Lei stava facendo la fila per
quell'altro, con che faccia ora si mette davanti al nostro?
Mi sposto da davanti, non vorrei che mi
sputasse pure addosso mentre starnazza in quel modo. Il donnone non
perde tempo a ribattere mentre nessuno di noi altri ha tutta l'aria
di intervenire in suo aiuto, tipico di chi vuole farsi i cazzi
propri, altro che solidarietà verso il prossimo. Meno male che
almeno le porte sono bloccate dalla sua consistente massa corporea.
Alla fine decide che la cosa migliore
da fare sia tagliar corto la conversazione con quell'impianto
fognario aperto e proseguire per la sua strada lassù, verso i piani
alti. Guardo con sofferenza le porte che si richiudono pregando che
non tardino troppo a riaprirsi. Osservo quel cesso che cerca di
ottenere i consensi degli altri per la ramanzina che pensa di aver
fatto alla donna, ma nessuno sembra cagarlo troppo, nemmeno sua
moglie. Solamente una vecchietta un po' snob gli dà vigliaccamente
ragione. Io invece ho una voglia matta di prendere il moccio Vileda
che sta dentro un secchio in un angolino della sala e ficcarglielo
tutto dentro quel buco di culo che somiglia tanto ad una bocca. Da
non credersi, l'ultimo arrivato che si mette a dettar legge, ma
vaffanculo, fatti un altro frullato di merda e piantala di sparare
cazzate!
L'infermiera ritorna col monta lettighe
e ne prende altri dieci compreso, per fortuna, pure me. La merdaccia
dovrà vedersela con gli altri due ascensori pubblici, spero che lo
trovino mummificato ancora là ad aspettare tra un milione di anni
come minimo.
Mio padre è a letto, da due giorni non
riesce ad alzarsi. Ogni volta che lo rivedo sembra più vecchio e
sempre più stanco. Gli si illuminano gli occhi non appena mi vede.
Mi siedo accanto a lui e parliamo del più e del meno, mi racconta
del nuovo arrivato nella sua camera e dei suoi problemi di salute. È
già il dodicesimo che cambiano dal giorno che ho portato il babbo
qua dentro, due settimane fa. Dice anche che è stanco, non lo
biasimo, chi non lo sarebbe in questo posto? Non vedo l'ora che gli
facciano l'ennesima visita che era prevista per un paio di giorni fa,
di sabato e di domenica sembra che di medici non ce ne sia nemmeno
l'ombra, così hanno rimandato l'esame per domani. Freme pure lui
dalla voglia di farlo e di tornarsene a casa. Eh sì, il mio babbo è
fatto così, pensa che un semplice esame sia la cura per il suo male,
per lui non c'è nient'altro, non tiene conto di nessun esito bello o
brutto che sia.
Sono triste e in pensiero per lui.
Sente dolore allo stomaco e tutto il
ventre, ancora non sa quant'è grave. Si fida di tutto ciò che gli
diciamo io e la mamma. Lo tranquillizzo pure adesso che mi chiede
novità sulla sua salute, mi sono già preparato un'altra bugia
abbastanza credibile da evitargli alcuna preoccupazione. Accetta
contento la mia risposta e mi sorride soddisfatto. Io invece muoio
dentro, è così facile prendersi gioco della sua ingenuità che per
poco non mi scoppia il cuore. Non c'è niente di più doloroso che
mentire e sorridergli allo stesso tempo sapendo che gli resta ancora
poco da vivere. Non ha idea di come mi trattenga dal non esplodere,
ma non posso permettermi di lasciarmi andare, non voglio che soffra
pure per me.
Tossisce, ogni piccolo movimento che fa
è doloroso. Ogni colpo di tosse uno strazio. Lo aiuto a mettersi di
fianco per sputare sul fazzoletto. Non mangia da un pezzo ormai, la
sua nutrizione consiste in un liquido bianco contenuto in una sacca
appesa insieme alla flebo, la sua vita scorre in un tubicino dritta
nella vena del suo braccio. Con movimenti lenti e meticolosi ripiega
il fazzoletto come fosse un'azione importante, stando attento che i
suoi spigoli combacino perfettamente gli uni con gli altri. Ha una
pazienza di cui gli ho sempre invidiato, cosa che io non avrò mai.
Ho il desiderio di baciarlo sulla fronte, ma è un gesto che non ho
mai fatto anche se gli voglio un bene da morire. Evito di farlo
pensando che forse lo troverebbe strano ed ho paura che me ne chieda
il motivo, ed io non voglio preoccuparlo. Oppure semplicemente lo
avrebbe gradito più di qualsiasi altra cosa al mondo, lo avrebbe
visto come l'amore provato di un figlio verso il proprio padre.
Sicuramente ne sarebbe stato felice. Probabilmente me ne pentirò per
il resto dei miei giorni, sono fatto così, non sono il tipo che fa sempre la cosa giusta al momento giusto.
Lo aiuto a stendersi di nuovo e gli
sistemo le lenzuola.
Dopo qualche minuto, la visita nelle
camere di due o tre medici costringono i visitatori ad uscire fuori
dalla stanza ad aspettare. Dico al babbo che torno fra poco ed esco
pure io. Ben vengano queste visite, non le fanno molto spesso, mi
danno un senso di appagamento, mi tranquillizza il fatto che qualcosa
funzioni qua dentro.
Solo due giorni fa il babbo riusciva
ancora a camminare aiutandosi con il bastone, non voleva che io
l'aiutassi nemmeno un po', diceva che era capace di farcela benissimo
da solo anche se con qualche difficoltà. Lo lasciavo fare ma stavo
sempre attento che non scivolasse e si facesse male. Lottava per
conservare con fermezza quell'ultima azione di autosufficienza che
ancora gli era permessa.
Ho la gola secca, decido di andare a
prendermi una bottiglietta d'acqua ai distributori in sala d'aspetto,
ma so già cosa ci troverò ad aspettarmi.
Infatti, eccoli là, tutti ammucchiati
addosso ai distributori, quasi non si riesce nemmeno a vederli. La
sala è abbastanza capiente, ma sembra che il parcheggio degli
zoticoni sia proprio lì. Mi appoggio al muro e aspetto che si apra
almeno una piccola breccia in quella bolgia. Sembra di stare in un
bar al sabato sera, con ubriaconi che urlano a manca e a destra. Qui
è la medesima cosa, c'è un gran vociare che non si riesce ad
afferrare una solo parola comprensibile nemmeno a concentrarsi fino a
farsi fumare orecchie e cervello. Molti di loro non sono nemmeno di
questo reparto, ormai conosco quasi tutti i visitatori che ne fanno
parte, mi chiedo cosa ci facciano qua. Ci stanno pure due carabinieri
in mezzo a loro, e come quasi tutti gli altri non hanno niente tra le
mani, nemmeno la scusa di tenere una tazzina di caffè, nemmeno per
finta. Una ragazza lotta disperatamente per farsi strada : “Scusi,
con permesso, mi fa passare per favore?” Sembra una formichina in
mezzo ad un branco di elefanti. Avrebbe ottenuto più attenzione se
avesse detto loro: “Scusa, ti levi dalle balle?” Ne avrebbe avuto
tutti i diritti in fondo di essere scortese.
Decido di tenermi la sete, non sto
bene. Ho quasi le lacrime agli occhi al pensiero di mio padre che
passa la maggior parte del tempo da solo chiuso fra queste quattro
mura. Mi allontano da lì, non ho nessuna voglia di scusarmi con dei
coglioni per un sorso d'acqua. Mi avvicino alla finestra, da quassù
si può ammirare una parte della città. Guardo il panorama, oggi non
so nemmeno se è bello o brutto, i miei occhi sono appannati e non
riescono a vedere quasi nulla. Voglio andarmene da qui, voglio
riportare a casa il mio babbo. Voglio portarlo via da questa gabbia
di matti.
Col fazzoletto mi asciugo le lacrime
senza farmi vedere da nessuno, non voglio che qualche rompiballe mi
si avvicini a chiedermi se sto bene, che si facciano i cazzi loro.
Voglio starmene in pace per conto mio.
Ho bisogno di farmi forza, di concentrarmi al massimo per non
lasciarmi andare, non devo crollare, non proprio adesso.
Non devo pensare a niente, solamente ad
essere di buon umore per lui.
Sorridere.
Incoraggiarlo.
Volergli bene.
Dargli forza.
Non serve altro se non tornare alla
vita di sempre.
Alla nostra vita.
Voglio solo che il mio babbo torni a
casa con me.
LAvoro in un ospedale, più piccolo di questo, dove comunque la ressa agli ascensori è all'ordine del giorno, dove comunque la dimensione del dolore è talmente deflagrante da colpirti al centro e so cosa vuole dire sorridere e fare forza e mentire circa la gravità, pur di non fare crollare una persona, pur di tenerla attaccata alla vita, anche se poi sono convinta che molti si rendano conto che la verità è un'altra, lo sentono, lo percepiscono, ma non chiedono nulla, non dicono nulla, quasi non volessero sapere comunque di più. Mi ha toccato molto quello che hai scritto, un abbraccio a te e al tuo papà. Quanto ai venditori ambulanti, ormai sono talmente prepotenti nel cercare di imporsi che anche io faccio di tutto per allontanarli, ma poi un filo di dispiacere lo sento.
RispondiEliminaSabrina&Luca
Ogni minuto che passa è doloroso per tutti noi. E' davvero difficile riuscire a non crollare. I vostri abbracci mi fanno forza e coraggio. Grazie per il pensiero.
EliminaE' proprio come lo descrivi tu. Tutto quanto. Non ci si può dar troppa colpa se non si riesce ad aiutare tutti. Soprattutto quando stai vivendo una pena simile. che brutta situazione..
RispondiEliminaperò ti ringrazio, perchè nonostante un senso di angoscia pazzesco mi hai regalato anche dei sorrisi. sei uno scrittore tragicomico e non vuoi dirlo. che peccato averti letto tardi.
Non pensavo di essere tragicomico, spero non sia una cosa brutta. Comunque grazie per le tue parole, spero che i sorrisi non ti manchino mai nella vita.
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