lunedì 5 dicembre 2022

Un tempo...

Un tempo nuvole e fantasia erano un tutt'uno.
Avanzavano di pari passo sospinte dal vento.
Un asinello sapeva trasformarsi in aquilone in pochi attimi, e questi volar via nel cielo azzurro senza nessuno a sorreggerlo o guidarlo con un filo. Soltanto il suono delle risate di noi bambini si librava nell'aria assieme a lui ad accompagnarlo nel suo tragitto.
La risata di un bambino è una stupenda melodia, non ci troverai mai note stridenti a rovinarne il componimento. È una partitura linda e armoniosa, un capolavoro impeccabile.
Un tempo potevi sentirle ovunque, le strade ne erano pregne del loro fragore, nei giardini i fiori parevano nutrirsi della loro vivace energia. Le farfalle ci andavano a nozze.
Un paesino com'era il mio sapeva far risaltare tutti questi piccoli eventi, non ti ponevi problemi se apprezzarli o meno, ci vivevi e basta. Ed era un bellissimo viverci.
La piazza centrale, all'ombra del secolare olmo, era meta d'incontro dei vecchi un po' ricurvi nei loro bastoni che sembrava scegliessero con cura il posto dove sedersi. Bramosi di chiacchiere a volte allegre altre seriose, passavano ore a discutere del più e del meno, i più loquaci risultavano essere sempre i primi ad alzare i toni ogni qualvolta il discorso prendeva una piega un tantino nodosa, mentre quelli un po' laconici si limitavano ad annuire in modo sardonico ai loro pensieri senza troppi coinvolgimenti.
Un tempo persino la campagna era ridente, sapeva ricambiarti del duro lavoro che svolgevi.
I pettirossi impavidi si avvicinavano all'indefesso vomere che pigramente rivoltava la terra, al più lesto spettava il lombrico più appetitoso. Le ballerine bianche più prudenti, si tenevano indietro accontentandosi di ciò che avanzava ma sempre appagate del loro frugale pasto.
Il raccolto soddisfaceva i contadini, raramente si sentivano lamentele. Chi subiva in qualche maniera una perdita veniva aiutato da coloro che erano stati più fortunati, nessuno mai ci perdeva.  Il sole riluceva il sudore che imperlava le loro fronti nelle afose e dure giornate, le mani segnate dal duro lavoro non rinunciavano ad elargire carezze alle mogli che al tramonto li accoglievano liete con la tavola già imbandita.
I giovani baldanzosi coi loro motorini correvano dietro le ragazze che a loro volta, con fare avveduto cercavano di non cadere in riprovevoli comportamenti. Persino semplici parole travisate se sfuggite e gonfiate tali da giungere alle orecchie dei genitori potevano risultare assai fatali. Colui che è di bocca larga sa operare con maestria nel seminar zizzania.
Un tempo il mondo era più semplice, si faticava ma ci si adeguava con serenità.
Qualcos'altro oggi ha preso il posto delle nuvole, scie capaci di tramutarsi solamente in tristi e monotone immense piume.
Chissà che fine avrà fatto quella fantasia che ora nessuno cerca più?
Le risate nelle strade son diventate più riservate. I bambini molto più competenti nella nuova era digitale, ricalcano le posture dei vecchi, chini sui loro smartphone, a navigare in un oceano di informazioni. Gibboso si prospetta l'avvenire dell'umanità.
La campagna piange il suo star male, veleni su veleni a lenirne la sofferenza, ma è come spegnere un fuoco con la benzina. I raccolti son poveri e il clima non aiuta, ogni anno è sempre un'incognita. I giovani ai campi da coltivare preferiscono cercare lavoro altrove.
Persino il canto del pettirosso sta diventando un lontano ricordo.
L'ombra dell'antico olmo non la cerca più nessuno; solitario e maestoso si erge al centro del paese in attesa ancora di quei vecchi discorsi fecondi di animate discussioni. La tv ormai si è arrogata il diritto dello svago, rintanando nelle proprie dimore quelle menti ammaliate dalle sfavillanti immagini illusorie.
Questo è il nostro tempo, alzo lo sguardo lassù in alto, cerco quell'azzurro di allora ma vedo solo un colore ormai sbiadito dai fumi, a stento riesco a scorgere la luna dietro quel cielo a scacchi.

venerdì 22 aprile 2022

Madri

  Potrei anche risponderle a tono, ma preferisco non farlo. Sarebbe peggio che sopportare. Mi limito a spingere per quanto mi riesce e basta. Non capisco se sono io che ho poca forza o sono le rotelle di questo aggeggio che sono dure da far girare. Uno strano attrezzo, un po' ingombrante ma almeno mi aiuta a tenermi in piedi anche se a stento. Si fatica molto lo stesso ma non quanto sentire la voce di mia figlia che sale sempre più di tono. Sono un po' dura d'orecchi, un altro regalino dell'età che avanza sempre più, forse sta di pari passo con queste rotelline che nei miei pensieri cigolano pure. In realtà la sento, sono le parole che non mi arrivano molto chiare, è come ascoltare un nido di calabroni, si confondono nel vuoto, si deformano come i suoni dentro la chiesa vuota, la stessa di cui ho smesso di frequentare tempo fa. 

 Ultimamente non ha molta pazienza, i suoi modi diventano sempre più bruschi e la rabbia riesce a prendere il sopravvento. Posso capirla, non è facile starmi dietro. Prendersi cura di una vecchia non è mai semplice, ci sono passata anch'io con mia sorella maggiore, badare a lei è sempre stato un vero tormento per entrambe.

 Ora tocca a me, ho mia figlia che mi aiuta. O almeno ci prova, con tutta la sua buona volontà. Siamo arrivate all'ultima fase, quella in cui è lei ad urlare alla madre. Non lo fa per cattiveria, è solo la stanchezza che prende il comando.

 Oggi è una bella giornata, si sta bene al tepore del sole primaverile. Giriamo attorno alla casa sul piastrellato, nel giardino non si può, questo arnese è possibile portarlo solo sul pavimento liscio. È duro da spingere e mia figlia quando sente che sforzo troppo mi dà una mano tirando verso di lei avanti a me. Per quanto mi riguarda uscire è uno svago che mi fa bene, restare rintanata in casa è una vera tortura, le ore sembrano non passare mai. Per la mia balia invece è diverso, è una cosa stressante, forse è quando si occupa di me che per lei le ore sono infinite. 

 Ogni tanto tocco le cose che mi capitano a tiro, tipo i davanzali delle finestre, il grande cassettone pieno di vasi fioriti, il pilastro di mattoni, tanto per sentirne il contatto, ma la mia mano viene presa con forza e rimessa sui manubri in modo arrogante, forse temendo che possa cadere o magari pensando che mi stia appoggiando mi rimbrotta bruscamente. Capita che mi saltino i nervi e mi oppongo con fare di rimprovero, ma è una lotta impari, non sono più io a dare ordini. 

 La cosa peggiore sono le parole, se le chiedo di ripetere perché non percepisco ciò che dice allora il tono comincia a salire, la seconda volta si intuisce che essendo dura lottare ogni giorno pure per farsi capire, la pazienza la abbandona proprio, come se per lei fosse una cosa assurda che io non riesca a sentirla. La terza volta è meglio evitarla, alla terza la sento e capisco benissimo, ma oltre alle parole c'è sempre qualcosa in più che mi arriva, la rabbia è una tra queste.

 Non manca mai il da farsi quando ci si occupa di una vecchia; aiutarla ad alzarsi la mattina, pulirla, vestirla, occuparsi dei pasti, delle medicine giuste da prendere, tutte cose che richiedono tanta pazienza e perseveranza. Con mia figlia cerchiamo entrambe di venirci incontro per quanto ci è possibile, ma il più delle volte si finisce con battibecchi e malumori. 

 Le guardo il viso ogni tanto, di sfuggita quando lei non se ne accorge. Preferisco evitare che il luccichio dei miei occhi incontrino i suoi, non sarebbe giusto nei propri riguardi, prendersi la colpa per ciò che sento, per i miei dolori, non se lo merita. 

 Non è cambiata molto, ha gli stessi tratti di quand'era piccola. È solo il tempo che ci dipinge sopra qualcosa in più, ma l'abbozzo resta sempre quello, i lineamenti di una bambina. 

 Della mia bambina.

 Mi sembra ieri che la tenevo ancora in braccio, un visetto paffuto che sembrava dire “riempimi di baci”. Ed è quello che facevo, la stringevo e la baciavo in continuazione come se non esistesse nient'altro di più bello nella vita. 

 Si andava avanti così negli anni a venire, fino al suo ultimo periodo di asilo. Poi qualcosa è cambiato.  Dopo è iniziata la scuola. È lì che tutto si trasforma, tutto si altera. 

 Lo studio, i compagni, gli insegnanti, la pubertà, tutte cose che ci piombano addosso all'unisono, una valanga che ci travolge spietatamente. 

 È lì che finiscono gli abbracci. É lì che i baci si perdono nei ricordi. 

 Quanto vorrei tornare indietro per poter sfiorare quelle guance con le mie labbra solo per un'ultima volta. Quanto vorrei riavere indietro la mia bambina. 

 Ora ho solo rimpianti e la mia stupidità. 

 Cambierei tutto, non ci penserei due volte a farlo se potessi. 

 La scuola è dura, bisogna impegnarsi molto, ed avere a che fare con degli insegnanti privi di cuore non è mai facile. Maledetti! Ma chi vi credete di essere? Come potete intromettervi nell'affetto tra genitori e figli? Quelle che avete davanti sono delle personcine, non animali da ammaestrare. Avete delle responsabilità nei loro riguardi, sono esseri umani e non oggetti da etichettare con dei voti o dei numeri. A scuola bisogna andarci con sicurezza, audacia e certezza, non con timore o il più delle volte col terrore come può provarlo solamente un bambino.

 È assurdo, è tutto così assurdo! 

 Abbiamo sbagliato tutti, compresa me stessa. 

 Al suo ritorno mi ci mettevo pure io a darle addosso senza un attimo di tregua. La incalzavo sullo studio, sul fare i compiti ed impegnarsi molto senza mai una parolina di conforto. Solo raccomandazioni, spinte su spinte per migliorarsi. 

 E lei cambiava. Giorno dopo giorno diventava sempre più dura, sempre più inflessibile nel suo riserbo e nei suoi silenzi. Cambiava e nemmeno mi rendevo conto di cosa le stavo facendo. Sempre più rimproveri e sempre meno sorrisi. Che stupida sono stata, non ho mai saputo ascoltare quei silenzi, sono sorda da una vita e non me ne sono mai resa conto. Rinunciavo all'affetto solo per incitarla nello studio di certe materie che nemmeno le sarebbero servite mai nella vita ma che reputavo rilevanti per il suo avvenire; sul pulire casa, lavare i piatti e altre cose senza importanza. Barattare l'amore per delle cose futili non è mai un buon affare. 

  Mi bastava semplicemente abbracciarla e baciarla augurandole una buona e serena giornata prima di andare a scuola e fare lo stesso al suo ritorno. Tutto qua. Sarebbe stato sufficiente fare questo ogni santo giorno e ne saremo state appagate entrambe. Una piccola oasi nel caos della vita. Un sospiro di sollievo in questo lungo cammino insidioso, un cammino che ci costringiamo ad intraprendere tutto in salita senza nessuna logica. 

 E si andava avanti così fino alle medie, con l'adolescenza che si portava dietro tutti i suoi problemi e i suoi trambusti a peggiorare le cose. È stata una fase terribile, solo ora me ne rendo conto, l'abbiamo attraversata nel peggior modo possibile. A stento le usciva un “ciao” ogni volta che usciva o rientrava, figuriamoci i discorsi; sembravamo delle perfette sconosciute. Non capisco perché certe cose si riescano a vedere solo col senno di poi. 

 Dopo, con le superiori le cose non sono certo andate diversamente, siamo rimaste coerenti fino in fondo nelle nostre personali solitudini, perse nella nostra monotona quotidianità. Ripensando al passato non vedo altro che pura follia, non potrà mai esserci nient'altro di più orribile del mio fallimento come madre. 

  Finché un giorno ha lasciato il nido e si è fatta una vita propria.

 Ora anche lei ha una figlia con due fratelli. Ormai sono grandi ed ognuno di loro ha preso la propria strada. I maschi non li vediamo molto spesso, ma la figlia viene a trovarci ogni tanto per passare qualche domenica assieme a noi. Le osservo attentamente quando parlano tra loro, discorsi lunghi, a volte importanti altre volte semplici pettegolezzi tra donne, ma i sorrisi sempre meno frequenti, troppe volte assenti. Le visite sono alla lunga diventate solamente un obbligo, dei compiti che ci si sente in dovere di svolgere. È una cosa triste, una scena che sembra ripetersi da milioni di anni. Vorrei fare qualcosa, dire loro che non è questo il modo, ma come potrei? Con quale faccia poi? Da che pulpito arriverebbe la predica? Sembrerei solo un ipocrita. 

 Dio, mi auguro che questo non accada in tutte le famiglie, che siano solo dei casi a parte come il nostro! Sarebbe terribile. Troppe volte ho visto scene del genere, come la mia vicina di un tempo, dove non sentivo altro che urla e rimproveri a tutte le ore del giorno con le proprie figlie. Ora non si parlano più, qualcuna ha persino rotto i contatti del tutto. Ma perché poi? Ma cosa ci succede? Cos'è che ci fa cambiare in questo modo? 

 Tiriamo su i nostri figli come meglio possiamo e molte volte facciamo anche un buon lavoro. Crescono forti, educati, zelanti, ma manca sempre la cosa più importante. Quello di cui noi madri non abbiamo mai capito niente. Dimostrar loro il nostro affetto, fargli capire che su di noi possono contare costantemente nel bene e nel male. Abbracciarli anche quando sbagliano e non solo punirli, aiutarli quando sono in difficoltà e non abbandonarli a se stessi, perché a volte tentare di cavarsela da soli non sempre porta a dei buoni risultati. 

 No, decisamente sull'affetto abbiamo molto su cui lavorare. Bisogna spingere su questo tasto o ci ritroveremo prima o poi col piangerci addosso. 

 Per me ormai è già tardi, l'unica cosa che posso spingere a questo punto è solamente questa specie di trespolo con le rotelline che faticano a girare. Uno stupido e singolare attrezzo che come ho già detto, mi consente ancora di reggermi in piedi.

 La sua voce è alta, le sue parole mi arrivano chiare e comprensibili. Non sono ancora abbastanza sorda per potermi sottrarre ad esse. Tengo la testa bassa con la scusa di concentrarmi sulle mie gambe lentissime a muoversi, la verità è che ho gli occhi intrisi di lacrime e faccio di tutto perché non ne scivoli nessuna sulle guance. 

 Nemmeno riesco più a vederle le gambe!

 Ancora un passo. 

 Ancora un altro piccolo... dolorosissimo... passettino!